IL CASO DIDEROT
Luca Spadaro
Nel suo celeberrimo saggio “Il paradosso sull’attore”, Denis Diderot dice:
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“Esser sensibile è una cosa ma sentire è un’altra. La prima è una questione d’animo, la seconda di intelligenza”
Il Paradosso è forse il più citato tra i testi che analizzano il mestiere dell’attore. Si sa che è stato scritto nel ‘700, si sa che contrappone una recitazione emotiva a una recitazione “fredda”, si crede (probabilmente a torto) che vada contrapposta alle teorie di Stanislavskij. Ma di cosa parla in realtà questo saggio?
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L’ipotesi da cui parte Diderot è che l’attore ideale debba avere grande intelligenza, capacità di osservazione ed essere del tutto privo di sensibilità.
L’attore “sensibile” e “istintivo” è incostante. Al contrario “l’attore che recita con riflessione, studio della natura umana, imitazione costante di qualche modello ideale, immaginazione e memoria, sarà coerente.”
L’attore, dice Diderot, deve studiare, elevare sé stesso all’altezza del personaggio, fino a diventare l’anima di “un grande manichino”. Diderot vede la recitazione “sensibile” come un atto casuale e privo di studio, dice (e come dargli torto) che “l’attore mediocre crede di sentire”. L’attore immaginato da Diderot si impossessa dei segni esteriori che sono “pura imitazione” e “scimmiottatura sublime”. Questo lavoro “gli lascia ogni libertà di pensiero e gli sottrae soltanto (…) la forza fisica.” “Egli si è agitato senza sentire nulla mentre voi avete sentito senza agitarvi.” E ancora “Le lacrime dell’attore scendono dal cervello.”
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Prima di continuare è utile ricordare cosa intendesse Diderot con il termine “sensibilità”:
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“Quella disposizione connessa alla debolezza degli organi, effetto della mobilità del diaframma, della vivacità dell’immaginazione, della delicatezza dei nervi, che induce a compatire, a fremere, ad ammirare,…a non avere alcuna idea precisa del buono del bello del vero,…ad essere pazzo.”
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Come tutti i teorici che si oppongono all’emozione in scena, anche Diderot mette a confronto la recitazione con le altre arti (quelle in cui l’artista crea in privato e l’opera viene sottoposta successivamente al pubblico). Il poeta scrive del suo dolore quando il dolore è passato e lui è tornato equilibrato.
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Nel corso dell’opera Diderot fa esempi di grandi attori che nel momento del massimo pathos, spostano un oggetto che non è posizionato correttamente in scena (potrebbero farlo se sentissero veramente?). Poi mostra attori e attrici come esseri per nulla dotati di sensibilità particolare (vanità e gelosia sono le loro caratteristiche principali).
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Ci sono due macro-temi in questo saggio:
1. Un bravo attore deve studiare e non può sottomettersi all’estro del momento (e su questo tutti i grandi maestri del teatro sono d’accordo)
2. È possibile “agitarsi” senza sentire nulla (e questa è un’ipotesi fortemente messa in discussione dalla scienza moderna).
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Non bisogna dimenticare, comunque, che Diderot parla di un teatro molto diverso da quello contemporaneo.
Infatti il saggio si conclude in maniera sorprendente: se un drammaturgo scrivesse un’opera che andasse recitata come si parla in società, nessun attore saprebbe portarla in scena. E ancora “Per un poeta geniale che arrivasse a questa prodigiosa verità di Natura, si solleverebbe una nube di insulsi e banali imitatori.”